I cambiamenti disturbano il nostro modo di funzionare

La psicologa Claudia Beutter presta consulenza a organizzazioni e quadri dirigenti in tema di gestione dei cambiamenti. Perché le persone fanno fatica ad accettarli e come fare a portare a termine nonostante tutto i processi di trasformazione? Spiegazione nell’intervista.

12.11.2025 - Katharina Zürcher

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Portrait Claudia Beutter
«Cominciamo solo ora a realizzare l’impatto che i cambiamenti digitali stanno avendo su di noi»: Claudia Beutter. (Foto: zVg)

Claudia Beutter, perché noi umani facciamo fatica a gestire i cambiamenti?
I cambiamenti disturbano il nostro modo di funzionare abituale. Facciamo molte cose in automatico, senza bisogno di metterci particolare energia, contando sul fatto che ci accorgiamo immediatamente se c’è qualcosa di diverso dal solito. Questo vale sia per le attività quotidiane – dal momento in cui ci alziamo al momento in cui arriviamo al lavoro – sia per le nostre routine lavorative. Senza questi automatismi, vivere e lavorare sarebbe praticamente impossibile.

La giustizia svizzera, e con essa il Tribunale amministrativo federale, sono attualmente nel mezzo di un profondo processo di digitalizzazione. Come si configura una buona gestione del cambiamento in quest’ambito?
Dall’esterno non è facile a dirsi, dovrei porre domande mirate su cosa, chi, come e quando. In generale è importante coinvolgere precocemente le persone interessate dal cambiamento e non limitarsi a sfruttare la loro esperienza solo in fase di attuazione. La direzione può inoltre fungere da facilitatore nella misura in cui accetta il fatto che, all’inizio, i processi, la qualità e la velocità possano peggiorare prima di migliorare. L’altra cosa da considerare è che più l’identità professionale è influenzata dal cambiamento, più sarà difficile per le persone coinvolte cambiare.

Oltre a lavorare come docente alla Scuola universitaria professionale zurighese per le scienze applicate (ZHAW), fa da consulente alle imprese in tema di cambiamento. Di che tipo di attività si tratta?
I motivi che spingono ad avvalersi di una consulenza organizzativa possono essere diversi, per esempio progetti già avviati che hanno subito una battuta d’arresto o responsabili interni del cambiamento che desiderano uno sparring partner con cui confrontarsi. Una prospettiva esterna è spesso utile per prendere coscienza di modelli e processi inconsci, mettendo in discussione normalità che possono rivelarsi o ostacoli al cambiamento pianificato oppure elementi culturali da preservare. Anche l’informazione e la comunicazione sono fondamentali – a cominciare dalla tempistica, dalla forma e dalla frequenza con cui avvengono, fino al coinvolgimento attivo e allo scambio del pubblico target. Per dirlo in maniera molto concreta si tratta di capire cosa significa per le persone interessate passare dallo «stato attuale» allo «stato auspicato» e come possono essere supportate in questo processo.

Perché i processi di cambiamento falliscono e come si può evitarlo?
Occorre innanzitutto chiarire cosa si intende per fallimento. Si tratta di obiettivi o intenti non raggiunti, di progetti interrotti o abbandonati a causa del forfait di troppi collaboratori? In base alla mia esperienza possono ad esempio portare al fallimento obiettivi di cambiamento contradditori. Per evitarlo, è necessario capire perché l’organizzazione funziona così come funziona, perché i dirigenti e i collaboratori agiscono così come agiscono. Perché una buona ragione, probabilmente risultato di cambiamenti precedenti, c’è sempre. Chi omette di compiere questo passo rischia che importanti processi, comportamenti e forme di collaborazione auspicati vadano persi con il cambiamento.

«Se i collaboratori non mostrano scetticismo o rifiuto di fronte ai cambiamenti è importante interrogarsi e verificare due ipotesi: dubitano che il cambiamento annunciato venga effettivamente realizzato? O hanno già rinunciato ad opporsi e si impegnano giusto lo stretto necessario?»

Claudia Beutter

Tornando alla digitalizzazione, lei capisce se i collaboratori sono stanchi per il ritmo incalzante dei cambiamenti o se invece sono semplicemente scettici o contrari alle novità?
Cominciamo solo ora a realizzare l’impatto che i cambiamenti digitali stanno avendo sulla nostra vita professionale e privata. La pandemia ha mostrato cosa significa la digitalizzazione per il lavoro e la collaborazione: individualizzazione e isolamento. Scambi condotti esclusivamente online e incontri personali sporadici e concordati solo per motivi specifici hanno in molti casi compromesso la comprensione reciproca e aumentato notevolmente il numero di malintesi. Se i collaboratori non mostrano scetticismo o rifiuto di fronte ai cambiamenti è importante interrogarsi e verificare due ipotesi: dubitano che il cambiamento annunciato venga effettivamente realizzato? O hanno già rinunciato ad opporsi e si impegnano giusto lo stretto necessario? Forse hanno già cominciato a maturare dentro di sé l’idea di un’uscita dall’organizzazione.

Cosa consiglia in questo caso?
I superiori devono sostenere i cambiamenti prendendo decisioni consapevoli e coinvolgendo precocemente le persone interessate. In questo modo queste ultime possono apportare la loro esperienza, interiorizzare le novità e fare prima il lutto dello «stato attuale». In fase di attuazione sapranno quindi perché è stata presa una determinata decisione e saranno più convinte che la novità funzionerà. Se i superiori considerano i propri collaboratori competenti e importanti non hanno bisogno di «vendere» il cambiamento come una soluzione, perché così facendo trasformano involontariamente le persone coinvolte in oppositori. I superiori competenti «vendono» invece il problema come esistente o emergente. In questo modo chiedono aiuto, apprezzano le capacità dei collaboratori e li rendono parte della soluzione che va delineandosi.

Non basta dunque mettere a disposizione dei collaboratori i nuovi strumenti e insegnar loro come utilizzarli?
Lo sforzo che i cambiamenti comportano per il cervello – creare nuove connessioni, «disimparare» il vecchio, capire e mettere in pratica il nuovo – è considerevole. Chi si affida solo ai nuovi strumenti sottovaluta gli effetti di questo processo. Spesso, inoltre, quelli che scelgono gli strumenti non sono gli stessi che li utilizzano. Ne conoscono i vantaggi, ma sottovalutano quanto ci vuole affinché il nuovo strumento apporti tali vantaggi e possa essere utilizzato con la stessa dimestichezza del vecchio. I superiori non dovrebbero quindi prendere sul personale una reazione negativa a una novità, poiché questa è una naturale strategia umana per difendere automatismi esistenti e ben funzionanti.

Le applicazioni basate sull’IA comportano grosse innovazioni che si sviluppano molto rapidamente e fanno temere a molti per il proprio posto di lavoro. Cosa consiglia alle persone coinvolte?
Capisco molto bene queste paure, perché gli sviluppi tecnologici possono avere un impatto di portata esistenziale sulle professioni e quindi sul personale. La maniera in cui si metabolizza l’incombere di una minaccia o si gestisce l’incertezza è molto individuale. L’importante, a me sembra, è trovare un modo per affrontare ciò che non può essere controllato o influenzato direttamente dall’esterno: tecnologia, mercato del lavoro, altre persone, ecc. Si tratta di cambiare la visione dell’ambiente circostante in modo da sentirsi nuovamente efficaci. È utile in questo caso parlare apertamente con altre persone di ciò che ci spaventa o di ciò che ci paralizza, poiché queste possono dirci quali possibilità, punti di forza o potenzialità vedono in noi e quali ostacoli o limiti ci poniamo noi stessi.

Personalmente cosa fa quando ha difficoltà con la gestione di un cambiamento?
Quando mi succede all’interno della mia organizzazione, lo dico apertamente. Mi osservo e cerco di capire cosa mi crea difficoltà, paura, preoccupazione e riluttanza. Questa riflessione mi aiuta a capire cosa c’è che mi disturba. In questo modo posso predispormi interiormente ad affrontare un processo di cambiamento. La prima cosa che posso fare è cominciare con l’accettare che sarà difficile, diverso e inizialmente impegnativo. Chiedo poi sostegno a colleghi, amici, famigliari. E infine, arrivo a decidere come affrontare il problema: apprendendo qualcosa di nuovo, concentrando la mia attenzione su altro o mettendo radicalmente in discussione la mia situazione lavorativa.

Claudia Beutter

Claudia Beutter, consulente organizzativa e docente presso l’Istituto di psicologia applicata della Scuola universitaria professionale zurighese per le scienze applicate (ZHAW), ha un’esperienza pluriennale nella gestione di processi di cambiamento strutturale in organizzazioni di grandi e medie dimensioni. Fornisce consulenza e coaching ai responsabili del cambiamento e alle squadre dirigenziali nei processi di trasformazione, quali ad esempio rebranding, fusioni, vendita di parti di un’azienda, cambiamenti culturali o strategici, ristrutturazioni o riorganizzazioni, ecc.

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